IL BAMBINO DENTRO DI NOI
In questa calda, lunga, languida estate in cui è avvenuta l’annunciata (e desiderata dal soggetto) dipartita dell’attore mito Alain Delon ho pensato al bambino che abbiamo dentro e di cui tutti sempre dicono: “non bisogna lasciarlo morire crescendo”.
L’Alendelon come veniva chiamato in Italia, era stato abbandonato prima dal padre e subito dopo da una madre che non ce la faceva, a quattro anni in un istituto, poi giri di famiglie adottive, militare infine il cinema e le molte donne.
La sua bellezza quasi unica derivava certamente dai geni ma anche dalla sua triste infanzia che gli aveva impresso uno sguardo malinconico da cucciolo che ogni donna voleva abbracciare e che risultava ancora più attraente quando veniva ricacciato per far uscire la sfrontatezza derivata dall’abilità di imparare a difendersi.
Guardandomi in giro, ascoltando le persone conosciute e non, mi sono resa conto che il bambino non muore mai, resta chiuso dentro la faticosa ascesa verso la maturità, verso l’imparare le regole per vivere bene nella società in cui viene a trovarsi o per tentare di cambiarle se non piacciono.
Resta bloccato sotto le maschere che si indossano per occupare bene un lavoro che dia da vivere insieme all’indipendenza e alla possibilità di avere, se desiderato, un tetto e una famiglia.
Resta ancorato alle regole che famiglia e società giustamente insegnano ma con pochi spiragli per l’ossigeno.
A volte ci si inganna e si confonde la maschera con il bambino.
Il bambino dell’Alendelon non se ne è mai andato, ha cercato per tutta la vita un affetto primordiale che gli era mancato nell’infanzia e ha trovato soltanto nei suoi cani perché non era in grado relazionarsi nel modo giusto agli altri, mogli e figli che fossero, nessuno glielo aveva insegnato.
I bambini che non hanno l’affetto dovuto a ogni creatura nascente, saranno capricciosi o silenti o violenti da piccoli, superficiali, narcisi o violenti da grandi, sempre alla ricerca di qualcosa che riempia il loro vuoto interiore senza trovarla.
Uguale sarà con i bambini educati all’opposto cioè viziati.
Perché un bambino è un oggetto/soggetto delicato che va trattato con precisione, calma, attenzione, amore, severità, comprensione, va guidato seguendo le sue inclinazioni.
Radici e ali. Amore sempre.
Il bambino non dimentica, come il corpo, si adatta ma non dimentica.
Quel piccolo spermatozoo che ha corso di più, ha faticato maggiormente per entrare per primo e farsi accettare dal luogo deputato alla sua accoglienza siamo noi, e non smettiamo di combattere fino alla fine dei nostri giorni.
La forza della sopravvivenza è più forte di tutto.
Ci si cerca in una medaglia alle Olimpiadi, nel condurre un’azienda, nel cantare a pieni polmoni arie antiche o nuove, nel sognare un Nobel, un Oscar o semplicemente amando le proprie giornate e la propria famiglia, un mare che canta, un cielo azzurro e anche una pioggia leggera, un profumo di fiori di tiglio in estate, fiocchi di neve in faccia d’inverno.
Resta il fatto che il bambino non sa esprimersi ma intuisce ogni cosa, ogni più piccola variazione dell’animo umano, come sentono gli animali, e poi nella rincorsa alla vita, al proprio posto nella vita in mezzo agli altri si è perduto.
Quando un bambino piange o fa i capricci manifesta un disagio che non è in grado di gestire o far capire chiede aiuto, ogni urlo è una richiesta di aiuto.
Lo stesso fanno i vecchi, quelli che si sono sentiti frustrati nel corso della loro vita, che non hanno seguito per incapacità o poco coraggio il loro cuore nella professione o nell’amore, quelli che hanno sempre tenuto la maschera e soffocato il bambino, quei vecchi che sbraitano e urlano o che tacciono guardando i famosi lavori stradali, gli “umarell”, tutti quei vecchi e quelle vecchie signore che si riempiono di botulini o liquidi vari, tubi siringhe, bisturi, che non riescono ad accettare il tempo che passa, quelli che brontolano e non gli va mai bene niente, quelli che mettono i puntini sulle “i” facendo “eeh, eeh” ,tutti quelli sono bambini che chiedono aiuto, attenzione, amore, il bambino non dimentica.
Quelli che ululano alla luna o alla bicicletta o suonano il clacson a quello che non è partito subito al verde, quelli che si aggrappano a partner molto più giovani pensando di tornarlo pure loro, sono bambini riapparsi che invocano il momento che non hanno avuto, non sono i bambini saggi cullati lungo la loro vita, che sanno guardare con occhi lontani la vita che hanno fatto e la sanno vedere e godere negli altri e continuare a cullarla sorridendo.
Quelli sono i bambini cresciuti bene che sanno andare su un’altalena a 99 anni ma anche fare un passo indietro con un sorriso per avvantaggiare qualcuno più giovane, sono quelli saggi che non si sono mai dimenticati di amarsi anche nei momenti più trucidi e fatui.
La vecchiaia è una stagione per coraggiosi, per chi non si tira indietro, per chi lascia la maschera e lotta ancora di più per ritrovarsi. Per chi arriva a capire cosa è venuto a fare in questo mondo, perché ha corso per arrivare primo, già da questo dovrebbe partire l’autostima: tutti quelli che sono al mondo almeno in una cosa sono arrivati primi.
Tanto per citare una volta di più il meraviglioso e insostituibile James Hillman: “..un tepore riesce a insinuarsi nelle gelide volte del magazzino dei ricordi… Luoghi, volti, amori, lavori, le immagini diventano più amabili, anche i tradimenti tornano in mente con una valenza nuova, sarà una premonizione o un lasciare fardelli per prepararsi lentamente a una dipartita più leggera ma la forza del carattere chiede di non essere lasciata incompleta, la somma dei fatti della nostra vita dona forma a chi siamo…”
Non i fatti che sono accaduti ma come li abbiamo affrontati.
Non è mai troppo tardi, come sempre, anche se avete 70 anni potete ancora aiutare il vostro bambino a crescere bene.
Sta per cominciare un’altra stagione, quella che precede il Natale e un anno nuovo, i buoni propositi possono iniziare già da oggi, cullate il vostro bambino, sta per cominciare una nuova stagione, quella che chissà, magari, forse. Mai smettere di sognare.